Tra bufale smascherate e panzane risparmiate, viaggio satirico nel mondo dei “paladini della verità” a senso unico…

Ah, il fact-checking! quell’arte sublime di separare il grano della verità dal loglio della menzogna, praticata con abnegazione dai novelli paladini dell’informazione “vera”. Peccato che, a guardar bene, di vero in certe “verifiche” ci sia ben poco. E di loglio, invece, ce ne sia fin troppo.

Ma procediamo con ordine. In questo articolo vi proponiamo un viaggio satirico nel mondo dei fact-checker all’amatriciana, quelli che tra una bufala smascherata e una panzana risparmiata decidono cosa è vero e cosa no. Sempre in nome della “Scienza e della Ragione“, ci mancherebbe. Peccato che poi, a grattare sotto la superficie, saltino fuori certe “verità” che con la scienza c’entrano come i cavoli a merenda.

Chi finanzia i fact-checker nostrani?

La prima domanda che sorge spontanea è: ma chi paga questi alfieri della verità? Risposta: un po’ tutti, purché siano dalla parte “giusta”. Dall’Unione Europea alla Commissione Europea, passando per governi, ministeri, fondazioni e multinazionali varie, i fact-checker nostrani possono contare su una rete di finanziatori che farebbero impallidire il PIl di un paese africano

Sia chiaro: qui nessuno vuole fare illazioni o dietrologie da quattro soldi. Ci mancherebbe, siamo certi che tutti questi soldi vengano elargiti in nome della più assoluta trasparenza e senza alcuna aspettativa di “contropartita“. E siamo altrettanto certi che i nostri eroi fact-checker siano tutti stinchi di santo, impermeabili a qualsiasi condizionamento. Ci mancherebbe altro….

Però, ecco, se poi scopri che certe “verifiche” sembrano uscite direttamente dall’ufficio stampa di Bruxelles o di qualche ministero, qualche dubbio viene. Sarà un caso, ma a forza di guardare sempre e solo da una parte, anche l’occhio più imparziale finisce per diventare un po’ strabico.

I verificatori e il club esclusivo dei fact-checker

Ma chi sono, di preciso, questi mitici verificatori di notizie? Se andiamo a vedere i loro curricula, scopriamo che spesso si tratta di giornalisti, comunicatori, PR, esperti di social media e altri professionisti dell’informazione. Nulla di male, per carità: chi meglio di loro può sconfessare le fake news?

Peccato che, in molti casi, si tratti degli stessi nomi che ritroviamo poi come “esperti” o “opinionisti” nei dibattiti mainstream. Un bel conflitto di interessi, non trovate? Un po’ come affidare le chiavi del pollaio alla volpe, giusto per restare in tema di metafore animalesche.

Senza contare che spesso i fact-checker fanno parte di un vero e proprio “club esclusivo“, con stretti legami e reciproche legittimazioni. Oggi ti faccio un fact-checking io, domani me lo fai tu, e via di abbracci e pacche sulle spalle. Un clima idilliaco, non c’è che dire, degno del miglior circolo di canasta. Peccato che di solito, in un circolo, non si decide cosa è vero e cosa no per milioni di persone.

I casi “esemplari” di fact-checking creativo

Ma veniamo al dunque: cosa combinano, in concreto, i nostri baldanzosi “verificatori”? Beh, di casi “esemplari” ce ne sarebbero a bizzeffe, ma per non tediarvi ne citeremo solo un paio.

Prendiamo ad esempio la gloriosa crociata anti-fake news di Open, il sito di fact-checking fondato da Enrico Mentana. Qui siamo al fact-checking creativo allo stato puro, con verifiche che più che smontare bufale sembrano montare piccoli capolavori di arrampicata sugli specchi. 

Memorabile la “verifica” in cui Open ha accusato il sito Epochtimes di diffondere fake news sui vaccini, chiamando a gran voce nientemeno che il presidente dell’Aifa Palù come “esperto” a supporto. Peccato che Palù di conflitti d’interesse ne abbia più di Rocco Siffredi, uno che di “expertise” nel suo campo ne ha da vendere. Già, perché se c’è uno che sa come metterlo in quel posto agli altri, quello è proprio Siffredi, e a quanto pare, Palù non è da meno, almeno quando si tratta di metterlo in quel posto alla deontologia professionale. Tra consulenze per case farmaceutiche e incarichi vari, il buon Giorgio ha collezionato più conflitti d’interesse che film hard il nostro Rocco nazionale, ma evidentemente, quando c’è da difendere il Verbo vaccinale, anche l’imparzialità può andare in vacanza. Del resto, se c’è una cosa che accomuna Palù e Siffredi, oltre alla destrezza nel “metterlo in quel posto“, è la totale mancanza di vergogna. Solo che uno lo fa per lavoro, l’altro per vocazione. Chissà chi dei due è più professionale…

Sia chiaro: nessuno qui vuole negare l’esistenza delle fake news. Le bufale esistono eccome, e vanno smascherate senza pietà. Ma se per farlo si usano gli stessi metodi approssimativi e faziosi che si vorrebbero combattere, il rimedio rischia di essere peggiore del male.

L’arte di smascherare fake news producendone di nuove

E qui arriviamo al punto dolente: spesso, nel lodevole intento di “smontare” le bufale altrui, i nostri fact-checker finiscono per crearne di nuove. Un po’ come quei cani che per prendere la coda finiscono per mordersi la schiena.

Prendiamo il caso della guerra in Ucraina, un vero e proprio campo minato per i “verificatori” di professione. Tra balle spaziali sui “tiralatte” usati dai russi (sic) e leggende metropolitane sulle loro “armi segrete”, i fact-checker hanno avuto il loro bel da fare per separare i fatti dalla propaganda. Peccato che spesso, nella foga di smontare le tesi del “nemico”, abbiano finito per avallare panzane altrettanto risibili provenienti dal fronte opposto.

Un esempio su tutti: la famosa storia dei “laboratori biologici militari” americani in Ucraina. Complottismo allo stato puro, ci hanno spiegato i fact-checker mainstream, nulla di vero, circolate! Salvo poi scoprire che, ops!, qualche laboratorio del genere in effetti c’è, e pure finanziato dal Pentagono, ma di “verificare” quello, chissà perché, nessuno si è premurato.

Perché il fact-checking è di parte

Ed eccoci al dunque: perché, troppe volte, il fact-checking si riduce a una forma di censura più o meno mascherata delle tesi “sgradite” al mainstream. Una censura fatta non con la cancellazione fisica, ma con la delegittimazione morale e intellettuale di chi dissente dal pensiero unico dominante.

Sia chiaro: qui nessuno difende i complottisti veri, quelli che credono che la Terra sia piatta. Le fake news vanno combattute eccome, ci mancherebbe, ma se per farlo si usa lo stesso metro di approssimazione e faziosità che si vorrebbe smascherare, il gioco non vale la candela. 

Perché qui il punto non è stabilire la Verità con la V maiuscola, come vorrebbero i sacerdoti del fact-checking mainstream. La verità, si sa, è sempre sfaccettata e complessa, e pretendere di rinchiuderla in una “pagella” è un esercizio tanto velleitario quanto pericoloso.

Il vero obiettivo dovrebbe essere stimolare il pensiero critico dei lettori, dare loro gli strumenti per orientarsi autonomamente nel mare magnum dell’informazione. Dargli gli strumenti per riconoscere le fake news da soli, senza bisogno di “verifiche” preconfezionate calate dall’alto.

E invece, troppo spesso, il fact-checking si riduce a una forma di paternalismo intellettuale, in cui uno sparuto gruppo di “esperti” si arroga il diritto di decidere cosa gli altri possono o non possono leggere. Una specie di neo-clericalismo 2.0, in cui al posto dei preti ci sono i “verificatori” di professione.

Una tendenza pericolosa, che rischia di infantilizzare il pubblico e di trasformarlo in un branco di minus habens bisognosi di essere guidati per mano nel labirinto dell’informazione. Come se non fossimo cittadini adulti e più o meno vaccinati (non solo contro il Covid), ma bambini dell’asilo a cui l’adulto di turno deve spiegare la vita e svelare gli arcani del mondo.

Conclusioni: Per un fact-checking davvero libero

Ecco, se c’è una cosa che proprio non sopportiamo è questo atteggiamento paternalistico e supponente di certi fact-checker mainstream. Come se fossero i depositari della verità rivelata, gli unici in grado di discernere il vero dal falso in un mondo di poveri creduloni pronti a bersi qualsiasi fesseria.

Sia chiaro: le fake news vanno combattute, ci mancherebbe. Ma per farlo serve ben altro che qualche “pagellina” anonima compilata da sedicenti “esperti” in combutta col potere politico e mediatico di turno. Serve, al contrario, una rinnovata educazione al pensiero critico, all’analisi delle fonti, al confronto tra tesi diverse.

Solo così potremo davvero creare cittadini liberi e consapevoli, capaci di orientarsi da soli nel mare magnum dell’informazione senza bisogno di balie e tutori più o meno interessati. Cittadini che non delegano ad altri la fatica di pensare, ma che si assumono in prima persona la responsabilità di cercare la verità, per quanto scomoda e sfaccettata essa sia.

E allora, cari fact-checker, un consiglio: la prossima volta che vi sentite in dovere di spiegarci come stanno le cose, fateci prima un bel fact-checking su voi stessi. Verificate i vostri pregiudizi, i vostri conflitti d’interesse, le vostre faziosità più o meno inconsce. E poi, se proprio non potete farne a meno, dateci pure le vostre “pagelle”. Ma sappiate che noi, cittadini adulti e più o meno vaccinati (non solo contro il Covid), ci riserviamo il diritto di prendere 4 in pagella. E di riderci su, anche….